Ho già detto che ho un debole per le curve, no? Ecco, ho scoperto di avere un debole anche per le altezze: l'idea di costruire qualcosa che sia più alto di me, che mi possa sovrastare, aggiunge un certo fascino demiurgico alla creazione, quasi stessi dando vita a un golem.
...va bene, sto esagerando forse; andiamo avanti
Qualcuno mi ha detto che devo dare dei nomi alle mie lampade, quindi lei è Elise. Perché le forme hanno colori, le lettere hanno colori, e il nome Elise aveva i colori giusti per queste forme.
Lei nasce dagli scarti di un'opera progettata da un artista, uno di quelli famosi che hanno le loro opere nelle piazze delle città; non potevo resistere a quei tubi già curvati - ho detto che amo le curve! - anche se non erano ancora queste curve, dovevano essere tagliate, ruotate, riarrangiate, saldate per arrivare alla giusta sinuosità.
Per essere poi completata con la doppia accensione, un interruttore di design e viaggiare verso la sua nuova casa.
Forse è la mia lampada preferita finora; ed è una di quelle nate più facilmente, spontaneamente; e ai miei occhi è talmente semplice e perfetta che non ho molte parole per descriverla, preferisco lasciare che parli da sola.
Si chiama Lamed perché mi ricorda la lettera ebraica lamed, la nostra l.
Che per inciso è la prima lettera di lev, cuore.
Che deriva da una radice che sugnifica sia istruire che imparare, e ha originariamente il significato di pungolo, sprone; in senso figurato, lo stimolo del desiderio di apprendere, di conoscere.
E per me questo richiama il concetto zen di shoshin, la "mente del principiante": considerarsi sempre studenti, principianti appunto, tenere la mente aperta e non considerarsi mai esperti ma continuare ad assorbire nuove conoscenze come farebbe un bambino. Costantemente.
...poche parole, avevo detto?
Spesso, anzi nella maggior parte dei casi, non inizio una creazione con un'idea precisa in mente; lascio che siano i materiali a parlarmi, le mani a far emergere, con la loro danza maieutica, ciò che è già nascosto nella materia - più prosaicamente assemblo parti, taglio, saldo, incollo e cerco una forma che mi soddisfi.
A volte trovo appunto una forma, ma mi sembra di intaccarle la purezza dandole anche una funzione; ed è questo uno di quei casi. Avevo immaginato una lampada, con una lampadina montata nella parte superiore, ma no, non voglio riempire quel vuoto, altererebbe la sensazione di leggerezza che mi da quella forma, delineata solo da un sottile contorno di ferro. Quindi rimarrà così, una lampada senza lampada, un elogio alla forma prima della funzione.
Ah, lei si chiama Venezia, perché la forma mi ricorda quella del ferro di prua della gondola; e in fondo è anche un omaggio alle mie radici venete.
Ecco che di qua è nato tutto, e ancora non ne ho parlato.
La prima lampadina accesa, figurativamente e letteralmente.
La scintilla che ha dato vita alla mia produzione di lampade (e alla mia passione per gli estintori).
Io volevo fare mobili. Tavolini, credenze, librerie, struttura di ferro e panelli e ripiani di legno. Ho iniziato appunto costruendo un tavolino da salotto a partire da un infisso di ferro vecchio di cent’anni -ma questa è un’altra storia.
Fatto sta che un giorno ho costruito una credenza, un lavoro importante, un disegno particolare con i quattro angoli esterni arrotondati; e interrogandomi su come fabbricare questi quattro angoli mi è cascato l’occhio su un estintore vuoto che avevo lì in laboratorio. Di lì a tagliare la parte superiore e quella inferiore in modo da avere un tubo, tagliarlo longitudinalmente in quattro parti e avere in mano le lamiere curvate che mi servivano, è passato giusto il tempo di scrivere “longitudinalmente” su questa tastiera. Sì, non proprio, ma si capisce il concetto.
“Perché? Non so perché.
Perché…? Non so perché.
…sono fatti miei”
Nel 1995 Jägermeister ci regalava questo tormentone interpretato da Raz Degan, e oggi mi torna in mente guardando questa lampada e chiedendomi cosa scrivere al riguardo.
Perché? Perché quella base a cantilever, quell’effetto sospeso? Perché quello stelo panciuto? Perché quella specie di corolla di fiore per paralume?
E la risposta è proprio quella, non so perché. Capita che voglia solo giocare, sperimentare, lasciarmi portare e vedere cosa accade. E questo è quello che accade, senza tante storie da raccontare.
Anche questi sono fatti miei, dopotutto.
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